“Scrivere con la luce”
Fotografia, scrivere con la luce, è questo il nome del risultato che, infine, premierà gli sforzi e relizzerà i sogni di generazioni di artisti, scienziati, alchimisti e sognatori.
Il desiderio di fissare definitivamente un’immagine quanto più realistica possibile di ciò che ci sta di fronte agli occhi è antico quanto la civiltà ed è stato nel corso dei secoli soddisfatto con le più diverse forme e tecniche di arte; nulla, però, che riportasse esattamente ciò che gli occhi vedevano, nelle stesse sfumature e con la stessa assoluta idea di realismo.
La ricerca che ha portato alla scoperta della fotografia si può far cominciare dal momento in cui si è iniziato a combinare fra loro quei principi ottici, fisici e chimici che ne stanno alla base; ma prima di arrivare alla formula definitiva, alla ricetta perfetta, la strada ha presentato faticose salite, svolte brusche e impreviste, vicoli ciechi.
Dal punto di vista dei fenomeni ottici, a partire dagli studi arabi del X secolo sui raggi solari passando per quelli di Leonardo e per il trattato “Magiae Naturalis” di G.B. della Porta, per arrivare fino ai perfezionamenti operati da Cardano, assistiamo alle prime appplicazioni della Camera Obscura in campo artistico: una semplice scatola con foro, con o senza lente) in grado di proiettare (ribaltata!) l’immagine che ha di fronte: una manna per il pittore o il disegnatore desideroso di produrre una immagine il più fedele possibile alla realtà.
Esempio classico e sublime di questa tecnica sono le viste prospettiche del Canaletto, vero banco di prova per le capacità del nuovo strumento: la possibilità di ovviare ad alcune difficoltà nel riportare a mano libera la corretta prospettiva nei disegni fui il vero motore della diffusione della Camera Obscura.
Da qui l’evoluzione è inarrestabile: la Camera obscura viene dotata di lente, per migliorare la leggibiltà dell’immagine, viene resa trasportabile e smontabile per seguire l’artista in ogni spostamento; appare anche uno specchio, che riflette l’immagine e la ripropone, ora con i lati non più invertiti, su una lastra di vetro sopra alla quale il disegnatore può comodamente appoggiare il foglio e ricalcare. E’ questo il concetto base della fotocamera reflex, che appare e non cambierà più fino ad oggi.
Ma le meraviglie ottiche raggiunte dalla Camera Obscura lasciano dietro di sè un retrogusto amaro, perchè quell’immagine tanto perfetta è altrettanto evanescente: se il disegnatore non è abastanza veloce, mai più gli si parerà davanti la stessa figura! Qui entra in gioco la ricerca sui fenomeni chimici.
La caratteristica di alcuni materiali di subire un’alterazione cromatica permanente se esposti direttamente e per tempi prolungati alla luce del sole è un fatto noto fin dall’antica Grecia e prima ancora; la possibilità di usare questa caratteristica per riprodurre la forma delle figure reali ne fu una conseguenza esplorata nel corso dei secoli successivi.
Per l’argomento di nostro interesse, il punto di svolta della ricerca, quello che lancia l’ultimo sprint verso la nascita della fotografia, sono gli esperimenti di Davy e Wegwood, che introducono un altro caposaldo rimasto fino ad oggi: i sali di argento.
Nei primi anni del 1800, i loro esperimenti li portarono ad utilizzare, per ricopiare le forme di piccoli oggetti naturali, della carta imbevuta in una soluzione liquida di nitrato d’argento, che nelle parti esposte alla luce anneriva rapidamente; ma l’immagine rimane evanescente come quella della Camera Obscura, e pronta a sparire completamente appena colpita dalla luce.
Manca l’ultimo passo per realizzare il sogno: manca il procedimento per fissare indelebilmente l’immagine.